Riprendono le interviste del nostro blog a professionisti che si rendono disponibili a raccontare la propria storia. Chiara Falvella, fotografa e aspirante traduttrice, parla del suo impiego freelance nel campo della ritrattistica. Come fare ritratti? Fare pratica il più possibile e non essere frettolosi. Il vantaggio di non essere a contratto? La libertà. Ma il tempo per essere proficuo va saputo organizzare nei minimi dettagli. Ecco cosa ha scritto Chiara, in una intervista esclusiva per AddLance Blog.
Come ha iniziato questa professione? Ci racconti in breve la sua storia e la sua specializzazione come fotografo ritrattista
Vengo da una famiglia di artisti, si può dire che in mezzo all’arte ci sono cresciuta. Ho iniziato a scattare con le vecchie analogiche di mio padre da piccolissima, e onestamente non ricordo un periodo della mia vita in cui non avevo una macchinetta in mano.
Ho imparato un po’ alla volta, da sola o con mio padre e ho scelto di concentrarmi sul ritratto, sulle sfumature e dettagli dei volti. Su quelle particolarità che spesso scambiamo per inestetismi, soprattutto.
Ho fatto qualche lavoro per una casa di moda, Morfosis, e attualmente lavoro come ritrattista freelance, collaborando con modelli, attori e make-up artist emergenti.
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Per i futuri fotografi ritrattisti che ci leggono, che consigli si sente di dare per coniugare al meglio formazione costante, lavoro sul campo e ricerca dei clienti?
Parliamo di un campo in continuo sviluppo, dall’attrezzatura ai programmi, quindi essere sempre al passo è fondamentale. Il modo migliore secondo me è guardarsi intorno, guardare i lavori dei fotografi contemporanei, restare sempre in contatto con loro e seguire forum o gruppi: anche il “banale” confronto è ottimo per restare aggiornati e ovviamente non si finisce mai di imparare! Attraverso questi canali è facile anche conoscere farsi conoscere da potenziali clienti o collaboratori.
Dalla sua esperienza, qual è la cosa più importante che ha imparato?
A seguire l’istinto, senza dubbio. Per me la fotografia è una cosa di pancia; la tecnica è importante, per carità, ma spesso le immagini che mi piacciono di più sono tecnicamente imperfette e parlo sia dei miei lavori che di altri. Quello che cerco di immortalare e trasmettere è la verità dei visi delle persone e capita che scatto una fotografia assolutamente fuori programma e di conseguenza tecnicamente imperfetta. La scatto comunque e magari la preferisco anche: è spontanea, è vera.
Ovviamente questo vale per me, credo che dipenda da fotografo a fotografo. È questo che intendo quando dico che scatto con la pancia.
Un’altra cosa che ho imparato è osservare. Osservare chi c’è dall’altra parte dell’obiettivo per coglierne e metterne in risalto i dettagli, ascoltare le sue storie e mettersi nei suoi panni. È una cosa stupida e con la fotografia c’entra relativamente, lo so, ma più persone fotografo e più mi rendo conto di quanto siano importanti le vite degli altri. In fondo è questo che cerco di trasmettere a chi osserva i miei lavori, un pezzo di vita del soggetto vista con i miei occhi.
E quali sono le 2 o 3 cose che sconsiglia vivamente di fare a chi si approccia a questa professione?
C’è una frase di William Eugene Smith, una sorta di mantra che mi ripeto da sempre, che secondo me racchiude tutto: a cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?
Cerco di trasmettere un pezzo di vita del soggetto vista con i miei occhi
Chiara, oltre ad essere una fotografa freelance sta ultimando gli studi per diventare traduttrice, altro impiego da libero professionista che intende portare avanti con la stessa passione. “Il traduttore? Deve essere invisibile: il lettore deve emozionarsi allo stesso modo in tutto il mondo“. Due professioni diverse tra loro ma che per Chiara hanno spazio entrambe nel grande universo del sapere e del saper fare che contraddistingue i freelance.
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